A CARTE SCOPERTE con Piero Di Blasio

Nel Regno del Musical ci sono voci, mani, menti… e poi ci sono artisti che sanno essere tutto insieme.
Oggi, nel giorno in cui una carta si svela, accogliamo un talento che ha attraversato la scena in tutte le sue forme: attore, autore, regista, doppiatore, produttore. Una figura trasversale, capace di costruire mondi e guidare storie.

La Carta Poliedrica di questa settimana è firmata Piero Di Blasio.
Con lui abbiamo parlato di creatività, drammaturgia, direzione, televisione, musical… e di quel mestiere vero che si respira solo stando dentro il teatro, ogni giorno, da ogni angolazione.

Piero, hai una carriera poliedrica che spazia dalla recitazione alla regia, dal canto al doppiaggio. Come riesci a bilanciare questi diversi aspetti artistici nella tua vita professionale?

Non ci riesco… mi barcameno tra una cosa e l’altra chiedendomi ancora cosa io voglia fare da grande. Per adesso so solo cosa non voglio fare: lavorare.

Sei stato regista di musical di successo come Prova a prendermi, Tutti parlano di Jamie e La piccola bottega degli orrori. Quali sono le sfide principali nell'adattare e dirigere musical internazionali per il pubblico italiano?

Innanzitutto cercare di rendere tutto credibile e fare in modo che il pubblico possa immedesimarsi nella storia o in qualcuno dei personaggi. In genere gli spettacoli che dirigo devono avere al proprio interno un valore universale o, se specifico, un messaggio ben definito. Bottega, Jamie e Prova a prendermi sono 3 mondi molto diversi, ma ognuno di loro ha una storia che può interessare. Quando adatto penso a questo e cerco di essere il più fedele possibile agli autori che hanno creato l’opera. Se mi riesce di trovare del divertimento nel testo, allora tanto meglio.

Cosa cerchi in un team di lavoro?

La serenità. Io lavoro solo se sto bene con la compagnia. Detesto i litigi e le “prime donne”. Con me hanno vita breve. Oppure fanno due lavori in uno: il primo e l’ultimo.

Nel tuo percorso hai lavorato con grandi nomi del teatro italiano. Quali insegnamenti hai tratto da queste collaborazioni?

Tutto quello che sono oggi lo devo a loro. A ognuno di loro. Ho imparato cosa fare e cosa non fare nel mestiere e devo dire grazie davvero a tutti. Si impara e si ruba anche dalle persone più inaspettate, anche da una chiacchiera fatta in quinta prima di entrare in scena. C’è una frase che mi porto dietro ogni giorno che passo in un teatro “dì la verità… la gente se ne accorge se menti!”

Il musical Tutti parlano di Jamie affronta tematiche attuali come l'identità e l'accettazione. Come hai lavorato per trasmettere questi messaggi al pubblico italiano?

Non ho lavorato sul pubblico, ma sul cast. Ho cercato di trasmettere loro quello che mi è vibrato nella pancia quella sera che ho visto lo show e ho chiesto di andare a raccontarlo con tutta la forza che avessero in corpo. Loro mi hanno seguito e ogni sera hanno portato in scena una piccola rivoluzione gentile, dimostrando di poter far rumore anche sui tacchi.

Qual è la tua più grande ossessione artistica?

La verità e il divertimento.

Hai dichiarato che "il teatro dovrebbe essere salvifico" e aiutare le generazioni a uscire da periodi bui. In che modo credi che il teatro possa contribuire al benessere sociale oggi?

Il teatro ti obbliga per due ore a staccare il cellulare (o almeno dovrebbe) e già questa è la prima conquista. In quelle due ore puoi pensare e provare a ragionare con te stesso e con qualcuno che dal palco dice la sua. Non lo trovi rivoluzionario? Io sì. E mi fa stare bene. Il teatro più volte mi ha salvato la vita. A volte dandomi un rifugio, altre volte dandomi conforto, la maggior parte delle volte schiaffeggiandomi e svegliandomi.

La tua esperienza include anche il doppiaggio. Come si differenzia il lavoro di doppiatore da quello teatrale?

Sono due mondi complementari e diversi. Sono due linguaggi, due specializzazioni. In entrambi si recita, ma in ognuno in un modo diverso. Per la serie ci laureiamo tutti in medicina, ma poi io mi specializzo in cardiologia e tu in neurologia. Siamo entrambi medici ma con competenza diverse. Possiamo capire entrambi ciò che ci diciamo, ma se vogliamo sconfinare campo dobbiamo studiare.

Un musical che tutti amano… ma che tu non riesci a digerire?

Non saprei. Vorrei dirigere Dear Evan Hansen, ma in Italia non lo vogliono produrre (incasserebbe poco) anche se io ho un’idea che potrebbe funzionare. So che alcune produzioni ci stavano provando, ma l’offerta agli inglesi era poco appetibile.

Come docente, quali consigli dai ai giovani aspiranti artisti che desiderano intraprendere una carriera nel teatro musicale?

Studiate come si sta in sala prove, prima ancora di studiare come cantare, recitare e ballare.

Se la tua arte avesse un colore, quale sarebbe?

L’arcobaleno… ovviamente.

Guardando al futuro, ci sono progetti o sogni artistici che ancora desideri realizzare?

Quanto tempo hai? Io mi sveglio ogni mattina con un’idea. “Gli uomini senza idee per primi vanno a fondo” diceva Luigi Tenco. Io ci credo e non voglio affondare.

DOMANDA DI RITO: Quando cala il sipario e si spengono, i riflettori… chi rimane?

Un ragazzino di 8 anni con gli occhiali spessi che non vuole uscire né per prendere gli applausi né le critiche. Che ha fatto qualcosa, anche se non sa bene cosa. Che sta bene lì e il resto non è proprio sempre necessario.

Con intelligenza brillante e una visione completa, Piero Di Blasio ci ha accompagnati dentro il cuore del mestiere teatrale: quello fatto di palcoscenico e prove, scrittura e regia, rischio e passione.

Nel Regno del Musical, la sua è una Carta Poliedrica che insegna quanto sia potente saper cambiare prospettiva, senza mai perdere la verità di ciò che si racconta.

E oggi, quella verità… l’abbiamo letta chiaramente, a carte scoperte.

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